IL SANTUARIO

DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI

Edificata tra il 1621 e il 1666 dai Frati Minori Riformati, consacrata nel 1682 da mons. Paravicino vescovo di Mileto, la chiesa fu incamerata dallo Stato borbonico unitamente al Convento nel 1783. Fin dal XVIII secolo fu sede della Confraternita di Maria Immacolata, detta pure dei Nobili. Oggi anche la chiesa fa parte dell’edificio demaniale, ex convento, dato in uso al Ministero della Pubblica Istruzione per essere adibito a Convitto Nazionale.

  Nella nicchia dietro l’altare maggiore è posta la statua del Cristo schiodato, attorniato da angeli, in mistura, di ignoto autore del Seicento. Ai suoi piedi ci sono le statue della Madonna, di San Giovanni e della Maddalena in cartapesta, dopo che quelle in mistura furono distrutte da un incendio nel 1924. Ai lati dell’altare maggiore sono poste le statue in gesso di San Filippo Neri e di San Giuseppe Calasanzio, entrambe opera dell’artista locale Filippo Sorbilli, realizzate durante l’opera di generale restauro a metà del XIX secolo. Pregevoli per fattura sono il pulpito in legno, scolpito dall’intagliatore monteleonese Vincenzo Prestia e la scala a chiocciola in ferro che porta al coro. Dietro il presbiterio si trova la rinomata Sacrestia lignea, scolpita tra il 1663 e il 1666 da fra Diego da Monteleone. Si tratta di armadi che occupano in modo continuativo tre pareti. I pannelli che li ordinano, finemente intagliati, raffigurano motivi floreali e faunistici e Santi dell’ordine francescano: San Ludovico, Santa Chiara, San Pietro d’Alcantara e San Diego d’Alcalà.

  Su ogni parete, al centro degli stipi, ci sono dei bassorilievi: a destra di chi entra, sono rappresentati i sette martiri protettori della Calabria Serafica; al centro, Gesù che consegna le chiavi a San Pietro; a sinistra, Maria Immacolata coronata di stelle, che, con i piedi sulla luna falciata, schiaccia il capo del serpente, con la mano destra impugna uno scettro fiorito e con la sinistra regge Gesù Bambino.

  La secolare devozione verso il Crocifisso degli angeli, soprattutto nei venerdì di marzo, e l’afflusso di numerosi fedeli di tutto il circondario, ha fatto di questa antica e artistica chiesa un riconosciuto santuario di riferimento per tutto il vibonese, curato fino al 2013 dai Padri Cappuccini, oggi dalla Parrocchia dello Spirito Santo con la collaborazione del clero cittadino.

 

ANALISI TEOLOGICA
DEL CROCIFISSO DEGLI ANGELI

  La venerazione del SS. Crocifisso degli Angeli è la devozione più conosciuta e amata non solo dai fedeli della città di Vibo Valentia ma anche da quelli dei paesi limitrofi del vibonese che nel corso dei venerdì di marzo di ogni anno, solitamente coincidenti con i venerdì di quaresima, accorrono pellegrini a venerare nel santuario di Santa Maria degli

Angeli questo splendido simulacro del Cristo Crocifisso. Questa sacra effigie, nonostante abbia subito dopo l’incendio del 1924 alcune trasformazioni, ha tuttavia conservato nel tempo il suo fascino e quasi inalterato il suosignificato. Nel contemplarla ci si rende subito conto che non si ha a che fare con la tradizionale immagine del Cristo inchiodato alla croce, infatti, pur avendo degli elementi in comune con altre icone della passione, essa appare sostanzialmente diversa e non tutti sanno spiegarsi la ragione di questa particolare rappresentazione.

   Iniziamo innanzitutto col chiarire che essa non rappresenta, come alcuni hanno creduto, la deposizione di Gesù dalla croce. L’autore, a mio avviso, ha voluto dire molto di più ai fedeli che la contemplano.

   Il SS. Crocifisso, ricordiamo, è un’opera del XVII secolo e riflette in maniera molto chiara la dottrina teologica del Concilio di Trento sulla celebrazione della S. Messa (cf Sessioni XIII, XXI e XXII) ma anche la spiritualità eucaristica post-tridentina che vedeva nella Messa una rinnovazione dell’ultima Cena e una rappresentazione della Passione del Signore. Per la sua realizzazione l’autore, oltre ad offrire la sua particolare interpretazione del Mistero eucaristico, sembra aver trovato ispirazione anche nell’icona del Crocifisso di San Damiano (secolo XII) che parlò a San Francesco, come pure nell’icona del Torchio mistico - immagine allegorica di origine biblica (cf Isaia 63, 3) e patristica (cf Sant’Agostino), ripresa nel Medioevo (cf San Bonaventura) e iconograficamente anche nel secolo XVI - la quale, alludendo alla grandezza del sacrificio eucaristico, rappresenta Cristo che, come l’uva nel tino, viene pigiato sotto il torchio della croce affinché il suo sangue disseti e redimi l’umanità. Queste e altre ragioni fanno di quest’immagine un opera unica nel suo genere.

  Inoltre il motivo del titolo dell’opera - cioè “SS. Crocifisso degli Angeli” [in dialetto: u Crucifissu i l’Angeli] - non è da attribuire all’autore ma al fatto che tale immagine è venerata nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli.

  Dunque è il titolo della chiesa che ha dato il nome all’immagine del Crocifisso.  

  L’immagine possiamo suddividerla in tre parti:  

 

  1. Il Cristo Crocifisso;      

  2. Gli Angeli che circondano la figura del Cristo;      

  3. Le statue dell’Addolorata, di San Giovanni apostolo e di Santa Maria Maddalena.    

   

 1. Il Cristo Crocifisso       

 La figura che nel gruppo statuario emerge di più è senza dubbio quella del Cristo che è   rappresentato, non inchiodato alla croce ma staccato da essa e seduto sull’altare. Egli è qui raffigurato come Re e Sacerdote; come il Cristo Crocifisso e Risorto. 

  La regalità emerge dal fatto che Cristo è rappresentato come un re seduto sul trono: il  suo trono regale è infatti l’altare della croce  (Regnat a ligno crucis Deus); Egli ha in testa non una corona d’oro ma la corona di spine; sulla croce vi è il cartiglio (Titulus) composto da  Ponzio Pilato nel quale è scritto che egli è “GesùNazareno Re dei Giudei” (Jesus Nazarenus  Rex Judaeorum); inoltre il suo manto regale non è un mantello di porpora ma è il suo stesso  sangue che, sgorgando in maniera così copiosa  dalle sue ferite, lo avvolge come in un manto; infine Cristo è presentato ai fedeli come Re  dall’angelo posto in alto alla sua sinistra. Da questo trono Cristo regna per noi come Re di giustizia e di pace (cf Eb 7, 2); come Re misericordioso  e pietoso che giudica sull’amore. 

  La sacerdotalità di Cristo emerge da diversi  fattori. L’artista ha voluto rappresentare Cristo che, nel sacrificio della Messa, si offre come Vittima di espiazione per i nostri peccati. Egli è il Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza che, offrendo al Padre il suo corpo  sulla croce, diede compimento ai sacrifici antichi  e - donandosi per la nostra redenzione - divenne altare, vittima e sacerdote. Per questo motivo possiamo affermare che in quest’immagine vi è un esplicito riferimento al  Mistero eucaristico, memoriale della morte e  risurrezione del Signore, per la ragione evidente che il Cristo è seduto sull’altare sul  quale la Chiesa celebra il divino sacrificio.

  A tal proposito la teologia insegna che nell’Eucaristia, istituita da Cristo nell’ultima Cena, il Signore ha voluto lasciare alla Chiesa  un sacrificio visibile attraverso il quale venisse  ripresentato in maniera incruenta il sacrificio  cruento compiuto una volta per tutte sulla croce (cf Conc. Trid. Sessio 22). 

  La Messa è dunque vero memoriale, cioè ripresentazione sacramentale, e non semplice  memoria o rappresentazione del Mistero della  Redenzione. Infatti, il sacrificio della croce e il sacrificio eucaristico sono il medesimo sacrificio. Si tratta cioè della stessa Vittima, Cristo. Diverso è solo il modo di offrirsi (cf ivi).  Nell’Eucaristia inoltre, cioè nel pane e nel vino consacrati, Cristo è realmente presente in corpo, sangue, anima e divinità (cf Conc. Trid. Sessio 13) e da questo mirabile Sacramento la Chiesa attinge tutte le grazie necessarie  per la salvezza dell’uomo. Questa fede nell’efficacia del sacrificio eucaristico e nella  presenza reale di Cristo nell’Eucaristia sembra emergere anche nell’immagine del SS. Crocifisso il quale viene rappresentato come  Agnello immolato (cf Ap 5, 6) sull’altare della croce - evidenti sono i segni della passione -   ma non morto e, quindi con gli occhi chiusi, ma bensì vivo, risorto e con gli occhi aperti, come è anche raffigurato il Crocifisso di San Damiano. Egli è il Signore (Kyrios) che nell’Eucaristia si offre alla Chiesa Risorto ma nei segni del corpo esanime.

  Un altro aspetto al quale quest’immagine  allude è la grandezza dei meriti che Cristo ha acquistato per mezzo dell’effusione del suo Sangue. L’autore, come già accennato, ispirandosi all’icona del Torchio mistico, paragona Cristo - che ricordiamo ha definito se  stesso la vera vite e il Padre suo il vignaiolo (cf Gv 15, 1) - ad un grappolo d’uva e, come  questo viene torchiato nel tino per ottenere il vino che dà vigore all’uomo, così il corpo di Cristo nel tino rappresentato dall’altare - che come si può notare ha delle bocche dalle quali fuoriesce il mistico liquido - viene pigiato sotto  il torchio della croce per produrre il sangue che sarà versato per la salvezza dell’uomo. Questo sangue, segno della nuova ed eterna Alleanza, che fuoriesce a fiumi dalle sue ferite e dal suo costato, viene poi raccolto sia da un angelo nel calice della Messa perché disseti la sete spirituale dell’uomo e sia da Santa Maria Maddalena nel palmo della sua mano perché sia sparso per molti in remissioni dei peccati.     

    

2. Gli Angeli che circondano la figura del Cristo         

   Anche negli Angeli che fanno corona all’immagine del SS. Crocifisso possiamo trovare dei riferimenti espliciti alla celebrazione della Messa. 

   Essi sono per la maggior parte dei serafini, particolare che richiama la visione del profeta Isaia, il quale contemplando la gloria della santità di Dio, vede attorno a lui una moltitudinedi serafini che proclamano: «Santo, santo, santo è il Signore Dio dell’universo. Tutta la terra è piena della sua gloria» (6, 3). Per  questo motivo possiamo affermare che in   questa immagine c’è una chiara allusione alla teologia del Sanctus, inno sacro per eccellenza, cantato dall’assemblea durante la  Messa, precisamente nella preghiera eucaristica alla fine della parte detta “prefazio”, dove si fa sempre riferimento alla teologia angelica. In questo inno, infatti, l’assemblea radunata in chiesa chiede aiuto e si unisce alla  lode dell’assemblea celeste (Angeli, Santi e Fedeli defunti) - che in eterno canta la gloria della santità di Dio - per implorare da Dio Padre, per l’azione dello Spirito, di essere trasformata in un solo corpo in virtù della comunione sacramentale al Corpo e Sangue di Cristo.

  Un altro riferimento alla preghiera eucaristica della Messa si può anche ravvisare  nell’angelo alla destra del Crocifisso che reca  in mano un calice. Egli, oltre a raccogliere il Sangue di Cristo, sembra essere anche un’allusione alle parole della preghiera eucaristica prima o Canone Romano (unica nella tradizione liturgica romana fino alla riforma del         Concilio Vaticano II). In essa il sacerdote, rivolgendosi a Dio Padre, dopo le parole di consacrazione sul pane e sul vino, così prega: «Ti supplichiamo, Dio onnipotente: fa che questa offerta per le mani del tuo angelo santo,sia portata sull’altare del cielo davanti alla tua maestà divina, perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare, comunicando al santo mistero del Corpo e Sangue del tuo Figlio, scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione del cielo».         

  Gli altri Angeli presenti nell’immagine, particolarmente i due inginocchiati ai piedi del Crocifisso, contemplano adoranti e commossi il mistero di Cristo che si offre come Vittima di espiazione per i peccati degli uomini.   

      

3. Le statue dell’Addolorata, di San Giovanni e di Santa Maria Maddalena         

  Le statue della Beata Vergine Addolorata, di San Giovanni apostolo e di Santa Maria Maddalena non vogliono solo raffigurare i personaggi che i racconti evangelici della Passione - in particolare Gv 19, 25-27 - ci dicono presenti sotto la croce, ma esse rappresentano la Chiesa, cioè noi. Le loro figure sono dominate dallo sguardo quasi parlante, sofferente e nello stesso tempo misericordioso e sereno, del Cristo che con le sue braccia aperte, rivolte verso il basso, sembra voler dire che il suo sacrificio sulla croce, perpetuandosi nella Messa, è offerto al Padre per la Chiesa, sua sposa. Egli, che in quest’immagine appare come l’Uomo dei dolori «per le cui piaghe siamo stati guariti» (cf Is 53, 5), mostra alla Chiesa le ferite, violentemente rappresentate sul suo corpo, per muovere a pietà e a sincera contrizione del cuore coloro che alzano verso di lui lo sguardo.         

  Infine Cristo è qui rappresentato come colui  che si offre alla Chiesa quale cibo di immortalità affinché essa, celebrando il suo memoriale, possa partecipare al Mistero della sua morte e risurrezione; essere trasformata nel suo Corpo mistico; partecipare della vita eterna (cf Gv 6, 35.51.54.58). Il suo sacrificio è  dunque offerto per la Chiesa perché anch’essa sappia offrirsi “per Cristo, con Cristo e in Cristo” al Padre per la salvezza del mondo. I fedeli, infatti, dalla partecipazione al sacrificio eucaristico “fonte e culmine della vita della Chiesa” imparano non solo ad offrire a Dio la Vittima divina ma anche se stessi con essa (cf Lumen gentium 11).  In questa immagine del SS. Crocifisso veniamo coinvolti anche noi Chiesa-Popolo di Dio per contemplare e adorare il Mistero sublime dell’amore di Cristo, che si offre per noi Agnello senza macchia sull’altare della croce, e partecipare alla beatitudine di coloro che sono invitati dall’Angelo del libro dell’Apocalisse al banchetto delle nozze eterne: «Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello» (19, 9).         

Don Giuseppe La Torre                       

 

 

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